Alcuni libri d’inglese vantano la supposta difficoltà e idiosincrasia della lingua. “Crazy English”, scritto dal popolare linguista americano, Richard Lederer, chiede: “come può il tuo naso correre e i tuoi piedi odorare?”. Bill Bryson, nel suo “Mother Tongue: English and How It Got That Way”, afferma che “l’inglese è pieno di tranelli per stranieri sprovveduti. Immaginate di essere uno straniero e di dover imparare che qualcuno tells a lie but the truth.” Questi libri, solitamente, sono inutili se hanno contenuti deboli. In molte lingue puoi dire “a lie” e “the truth”, in parte perché di bugie ce ne sono tante mentre la verità è qualcosa di più definito. È normale pensare che la propria lingua sia complessa e misteriosa. Ma l’inglese è abbastanza semplice come lingua: i verbi, difficilmente vengono coniugati; è semplice convertire i sostantivi al plurale (basta aggiungere una “s”) e non ci sono generi da ricordare. Gli anglofoni apprezzano queste caratteristiche nel momento in cui devono imparare un’altra lingua. Lo spagnolo ha sei tipi di passato semplice e sei in passato composto, imperfetto, futuro, condizionale, congiuntivo e due tipi diversi di passato del congiuntivo, per un totale di 48 modi. Il tedesco ha tre generi, apparentemente a random, tanto che Mark Twain si chiese preoccupato il perché “una ragazza non ha sesso mentre una rapa sì”(Mädchen è neutro, mentre Steckrübe è femminile). L’ortografia inglese può sembrare bizzarra, ma anche il francese da del filo da torcere con i suoi tredici modi per dire il suono “o”: o, ot, ots, os, ocs, au, aux, aud, auds, eau, eaux, ho e ö. “Ghoti,” come le buone penne fanno notare, può essere pronunciato “fish”: gh pronunciato come in “cough”, o come in “women” e ti come in “motion”. Ma l’ortografia è ausiliaria alla complessità reale della lingua; l’inglese è abbastanza facile, scritta in modo assurdo.

Caso per caso

Forse la lingua “più difficile” studiata da molti anglofoni è il latino. Qui, tutti i sostantivi sono declinati in casi, caratterizzato da una terminazione che identifica la funzione della parola in una frase (soggetto, oggetto, possessivo e così via). Ci sono sei casi e cinque modi per declinare i verbi in relazione con i casi. Questo sistema, con tutte le eccezioni, è stato per anni una tortura scolastica di molti bambini; ma ha dato flessibilità all’ordine delle parole alla lingua. Se il soggetto ha la sua terminazione, non è necessario metterlo ad inizio frase. Questa abilità ha permesso ai bambini dei tempi passati di apprezzarne la grandiosità e di sentirsi orgogliosi nel dominarla bene. Conosce il latino (e il greco antico, che presenta problematiche simili) per molto tempo fu il tratto distintivo di una persona istruita. Ma il latino e il greco sono così difficili? Questo due fratelli di sangue dell’inglese, all’interno della famiglia delle lingue indoeuropee, sono un gioco da ragazzi se comparate ad altre lingue. Le lingue tendono a diventare “più difficili” più si allontanano dall’inglese e i suoi parenti linguistici. Mettendo in evidenza come le lingue siano difficoltose per un parlante inglese, stileremo una guida di come le lingue differiscano tra loro.

Ancora prima di imparare anche solo una parola, lo straniero è colpito da quanto lingue possano suonare in maniera diversa. La r uvulare del francese e la ch fricativa, glottale del tedesco (e dello scozzese) sono essenziali per immaginare queste lingue e i loro oratori. Ma alcuni sistemi fonetici possono essere molto più difficili. Le vocali, ad esempio, vanno ben oltre le comuni a, e, i, o, u, e, a volte, y. Queste lettere rappresentano più di cinque o sei suoni in inglese (si consideri la a in father, fate e fat). Le vocali delle lingue europee hanno variazioni più ampie; pensare a quelle con dieresi della lingua tedesca, o quelle nasali francesi, portoghesi e polacche.

Ma esistono vocali molto più esotiche, ad esempio, caratterizzate dai toni: toni che salgono, scendono, diventano profondi, rimangono bassi o alti, e così via. Il mandarino, la più grande tra le lingue della famiglia cinese, ha quattro toni: quello che suona come semplice “ma” in inglese ha quattro suoni distinti, e significati in cinese. Questo è relativamente semplice rispetto ad altre varietà cinesi. Il cantonese ha sei toni, mentre il min ne ha sette o otto. Un tono può anche influenzare la pronuncia dei toni vicini attraverso una serie di regole complesse. La questione per le consonanti è più complessa. Alcune (p, t, k, m e n sono comuni) compaiono nella maggior parte delle lingue, ma ci sono alcune consonanti che possono presentarsi in “bufera” di varianti note come egressive (aria in uscita dal naso o dalla bocca), ingressive (aria in entrata nel naso e nella bocca), eiettive (aria espulsa dalla bocca, mentre il respiro è bloccato dalla glottide), faringali (la faringe ristretto), palatalizzate (la lingua sollevata verso il palato) e altre ancora. Le lingue con le consonanti difficili da pronunciare sono raggruppate in famiglie. Le lingue in Asia orientale tendono ad avere vocali tonali, quelli del Caucaso del nord-est sono note per la complessità consonantica: l’Ubykh dispone di 78 suoni consonantici. Le lingue austronesiane, al contrario, hanno i suoni più semplici di tutte le famiglie linguistiche.

I click

Forse i suoni più esotici sono i click: tecnicamente sono consonanti “non-polmonare” che non utilizzano la corrente d’aria dai polmoni per la loro articolazione. Le lingue con click più note sono nell’Africa meridionale. La lingua Xhosa, ampiamente parlata in Sud Africa, è nota per i suoi click. Il primo suono del nome della lingua è simile al click che gli anglofoni usano per incitare un cavallo. Per la complessità del suono, una lingua si distingue tra tutte. Lo !Xóõ, parlato solo da poche migliaia di persone, soprattutto in Botswana, ha una serie di suoni insoliti e rapidissimi. Le sue vocali includono quelle piane, faringali, stridenti e ruvide, e si caratterizzano di quattro toni. Ha cinque click di base e 17 di accompagnamento. Il maggior esperto del !Xóõ è Tony Traill, che ha sviluppato un nodulo sulla sua laringe per imparare a fare i loro suoni. Ulteriori ricerche hanno dimostrato che i parlanti adulti di questa lingua hanno lo stesso nodulo (i bambini non l’hanno ancora sviluppato).

Al di là del suono viene il problema della grammatica. A questo proposito, alcune lingue europee sono di gran lunga più difficili di quanto siano, per esempio, latino o greco. I sei casi di latino impallidiscono davanti ai 14 casi dell’estone, tra cui l’inessivo, l’elativo, l’adessivo e l’abessivo. Inoltre, il sistema è pieno di irregolarità ed eccezioni. I cugini dell’estone, nel gruppo delle lingue ugro-finniche, fanno più o meno lo stesso. Le lingue slave costringono i parlanti, quando si parla al passato, a dire se un’azione è stata completata o meno. I linguisti chiamano questo fenomeno “aspetto”, che anche l’inglese ha, per esempio, nella distinzione tra “I go” e “I am going”. Per dire “andare” nelle lingue slave occorrono diversi verbi per indicare se a piedi, in auto, aereo, in nave o con un altro mezzo di trasporto. Per i russi o polacchi, il viaggio è molto più importante rispetto alla destinazione.

Donne, fuoco e cose pericolose

Al di fuori dell’Europa le cose diventano più complicate. Il genere, ad esempio. Twain scherzava sempre sul genere nella lingua tedesca dimostrando che nella maggior parte delle lingue spesso ha poco a che fare con il sesso fisico. Il “genere” è legato al “tipo”, e significa semplicemente un gruppo di sostantivi concentrati insieme per scopi grammaticali. I linguisti parlano invece di “classi nominali”, che possono avere a che fare con forma o dimensione, o se il sostantivo è animato, ma spesso le regole sono difficili da vedere. George Lakoff, linguista, descrisse in maniera memorabile una classe nominale della lingua Dyirbal (parlato nell’Australia nord-orientale): “donne, fuoco e cose pericolose”. Quando i generi sono idiosincratici, sono difficili da imparare. La lingua bora, parlata in Perù, ne ha più di 350.

Le lingue agglutinanti – che incasellano molti frammenti di significato in singole parole – sono una fonte di fascino per coloro che non le parlano. I linguisti definiscono singole unità di significato, come “albero” o “in-“, morfemi, e alcuni legami linguistici li tengono insieme obbligatoriamente. Il curioso “antidisestablishmentarianism” in inglese, ha sette morfemi (“anti”, “dis”, “establish”, “-ment”, “-ari””-an” and “-ism”). È insolito in inglese, mentre è comune in lingue come il turco. I turchi coniano frasi fantasiose come ad esempio “Çekoslovakyalilastiramadiklarimizdanmissiniz”. Significa: “Eri una di quelle persone che non abbiamo potuto trasformare in un cecoslovacco” Ma Ilker Aytürk, linguista, offre un esempio reale: “Evlerindemisçesine rahattilar”. Supponendo di aver appena avuto ospiti che hanno lasciato casino, queste due parole significano “Erano così spensierati da pensare di essere a casa loro.”

Sì, noi (ma non tu) possiamo

Questa proliferazione di casi, generi e agglutinamenti , tuttavia, sono fenomeni molteplici che si riscontrano nelle lingue europee. Una lingua davvero impressionante è quella che costringerebbe un parlante inglese a pensare ad un aspetto della frase che altrimenti ignorerebbe. Prendiamo la parola “noi”. In kwaio, lingua parlata sulle Isole Salomone, “noi” ha due forme: “io e te” e “io e qualcun altro (ma non tu)”. Inoltre, la lingua non ha solamente il singolare e il plurale, ma anche il duale e il paucale. Mentre in inglese abbiamo solo “we”, in kwaio abbiamo “noi due”, “alcuni di noi” e “molti di noi”. Ognuna ha due forme, una inclusiva (“noi, te compreso) e una esclusiva. Non è difficile immaginare situazioni in cui bisognerebbe usare orribili distinzioni così esplicite. Anche la lingua berik, parlata in Nuova Guinea, ha bisogno di codificare informazioni che parlanti inglesi non codificherebbero. I verbi hanno desinenze fisse che indicano in che parte del giorno si svolge l’azione: telbener significa “[lui] beve la sera”. Quando i verbi implicano un oggetto, ha desinenze che indicano le loro dimensioni: kitobana significa “dare tre grandi oggetti ad un uomo all’alba”. Alcune desinenze dei verbi esprimono persino il luogo in cui l’azione si svolge in relazione al parlante: gwerantena significa “mettere un grosso oggetto in un posto in basso nelle vicinanze”. La lingua ndali, parte delle lingue bantu, ha caratteristiche simili. Una persona non può dire semplicemente che una cosa sta succedendo; la desinenza mostra se sta avvenendo proprio adesso, stamattina presto, ieri o l’altro ieri. Il futuro funziona allo stesso modo.

In linguistica è in atto un acceso dibattito tra quelli, come Noam Chomsky, che pensano che tutte le lingue funzionano più o meno allo stesso modo nel cervello e quelli che pensano non sia così. Quest’ultima ipotesi è stata avanzata da Benjamin Lee Whorf, un linguista americano dei primi anni del XX secolo, il quale sosteneva che diverse lingue condizionano o vincolano il modo di pensare della nostra mente.

L’ipotesi di Sapir-Whorf è stata criticata per anni, ma c’è stato un ripensamento. Lera Boroditsky della Stanford University, ad esempio, si focalizza sui Kuuk Thaayorre, aborigeni dell’Australia settentrionale, i quali non possiedono termini per indicare “sinistra” o “destra”, al loro posto utilizzano direzioni precise come “nord” e “sud-est” (ad esempio, “Hai una formica sulla gamba sud-ovest”). Boroditsky afferma che ogni bambino Kuuk Thaayorre sa da che parte si trova il sud-est in un preciso momento, mentre una stanza piena di professori di Stanford, se gli venisse chiesto di indicare rapidamente il sud-est, tirerebbero ad indovinare. Il saluto standard per i Kuuk Thayoorre è “dove vai?”, e la risposta è qualcosa come “a nord-nord-est, una media distanza.” Non sapendo dove si trovano le direzioni, fa notare la Boroditsky, un occidentale non potrebbe andare oltre il “Ciao”. Gli universalisti ribattono che i nuovi seguaci di questa teoria stanno trovando superficiali caratteristiche della lingua molto banali: la teoria secondo cui la lingua restringe veramente il modo di pensare non è ancora stata provata.

The winner is…

Avendo raccolto tutte queste informazioni, qual è la lingua più difficile? A conti fatti, noi diremmo il tuyuca, dell’Amazonia orientale. Ha un sistema fonetico con consonanti semplici alcune vocali nasali, quindi non è difficile parlarlo come l’Ubykh o !Xóõ. Come il turco, è molto agglutinante, quindi una parola come hóabãsiriga significa “Non so proprio come scrivere”. Come il kwaio, ha due parole per indicare il “noi”, inclusivo ed esclusivo. Le classi nominali (generi) nella famiglia delle lingue tuyucan (compresi i parenti linguistici vicini) sono state stimate tra 50 e 140. Alcuni sono rari, come “corteccia che non si attacca stretta all’albero”, che può essere esteso a cose come pantaloni larghi, o al compensato bagnato che comincia a staccarsi. La cosa più affascinante è che possiede una caratteristica che farebbe tremare qualsiasi giornalista. Il tuyuca per i verbi richiede una desinenza che dimostra come l’oratore sa l’argomento che sta trattando. Diga ape-wi significa che “il ragazzo ha giocato a calcio (lo so perché l’ho visto)”, mentre Diga ape-Hiyi significa “il ragazzo ha giocato a calcio (presumo)”. L’inglese è in grado di fornire tali informazioni, ma il tuyuca deve avere obbligatoriamente una o l’altra desinenza nel verbo. Le lingue probatorie costringono i parlanti a riflettere su come hanno imparato quello che dicono di sapere.

I linguisti si chiedono precisamente come il linguaggio funzioni nel cervello, e esempi come quelli evidenziati per il tuyuca sono la loro materia prima. Potrebbe essere trovato molto di più, ma solo poche centinaia delle 6.000 lingue del mondo sono stati ampiamente mappate, e i nuovi metodi sarebbero difficili da applicare. Eppure molte sono parlate da poche centinaia di persone. Meno di 1.000 persone parlano tuyuca. L’ubykh morì nel 1992. La metà delle lingue di oggi potrebbero sparire nell’arco di un secolo. I linguisti fanno a gara per imparare quello che possono prima che le forze della modernizzazione e della globalizzazione uccidano le lingue più strane.