Con il passaggio alla signoria dei Medici, il cantare si trasforma in poema cavalleresco. Tale passaggio avviene grazie a Luigi Pulci, che ha però una caratteristica fondamentale: quella di avere predilezioni per il genere comico e giocoso. Pertanto Pulci si ricollega non al filone classico, ma a quello anticlassico. Pulci è quindi un autore molto vicino alla tradizione popolare. Naturalmente questo in primo tempo alla corte dei Medici viene apprezzato (Lucrezia Tornabuoni apprezzava e promuoveva Pulci a scrivere), ma alla lunga entra in contrasto con l’altro filone classico: l’opera di Pulci è il “contraltare” de “Le stanze per la giostra” di Poliziano, ma anche con Marsilio Ficino. Pulci scrive questa opera, Il Morgante, la cui stesura inizia nel 1461, inizialmente costituito da 23 canti. Ad un certo punto si rompe il legame con i Medici e infatti va via; poi torna e scrive 5 canti che costituiscono la seconda parte dell’opera più importante (in tutto i versi scritti sono più di 30.000). Nel 1483 esce il poema completo e l’anno dopo Pulci muore a Padova.

Il Morgante

Per quanto concerne Il Morgante, questa opera prende il nome da un gigante e riguarda la storia di Orlando che, calunniato da Gano, lascia Parigi per andare nella Pagania (terra dei pagani) e durante il viaggio trova un’abbazia minacciata da tre giganti: Orlando ne uccide due, mentre il terzo rimasto, Morgante, si converte al cristianesimo e diventa scudiero dell’eroe paladino: è una sorta di nuovo Ercole, solo che al posto della clava egli ha una campana. Orlando è a sua volta accompagnato da un mezzo gigante, Margutte. Molto ridicola è la morte dei due: Margutte muore di riso a crepapelle, mentre Morgante muore perché viene punto da un granchio mentre controlla che i paladini salgano su una nave. Nei cinque canti successivi c’è Orlando che difende la Francia, mentre Gano si accorda con Marsilio per intrappolare Orlando a Roncisvalle. Poi c’è l’assalto dei paladini ad Orlando, a cui però viene in aiuto Rinaldo, il cugino, dall’Egitto, su dei cavalli alati che erano stati oggetti di un incantesimo da parte dei diavoli Astarotte e Farfarello, ma non viene impedita la morte di Orlando. Astarotte è un diavolo gentile, malinconico, “sui generis”, ed è un dotto conoscitore della teologia. Alla fine si rende conto del tradimento di Gana che viene fatto uccidere come Marsilio. Il poema si conclude con Morgante che aspetta in cielo l’arrivo di Orlando, mentre Margotte va all’Inferno, diventando l’aiutante di Belzebù.