La Scapigliatura, nata non come una scuola, bensì come un movimento letterario, consiste in un gruppo di scrittori che tra il 1860 e il 1880, sviluppando in area lombarda e piemontese un movimento di protesta e di polemica, espressero disagio e insofferenza per le convenzioni della letteratura contemporanea. Gli artisti che vi aderirono, non erano esclusivamente milanesi o lombardi, molti infatti furono gli adepti di altre regioni italiane, ma poiché il movimento portava avanti una dura protesta antiborghese, Milano, vista come simbolo della borghesia italiana, divenne il punto di riferimento per il movimento.

Il termine “scapigliatura”, fu proposto da Cletto Arrighi nel suo romanzo “La scapigliatura e il 6 febbraio”, pubblicato nel 1862, nel quale viene narrato un fatto storico, la fallita sollevazione mazziniana di Milano del 1853. Nel romanzo la parola designa un gruppo di giovani patrioti anticonformisti e amanti dell’arte, “pronti al bene quanto al male”.

Gli scapigliati assunsero posizioni assai critiche verso la letteratura e la cultura italiana del loro tempo, ammirando soprattutto autori stranieri come Baudelaire, Gautier, Heine, Hoffmann, Jean Paul e Poe. Tale gruppo, dando voce al disagio e alle contraddizioni che caratterizzarono il neonato stato unitario, dichiararono, per la prima volta nella cultura italiana dell’Ottocento, il conflitto tra artista e società. La protesta degli scapigliati si manifestò in campo politico, con le accuse alla borghesia di aver tradito gli ideali risorgimentali di libertà, giustizia ed eguaglianza, opprimendo le masse popolari; in campo morale, denunciando l’ipocrisia e le menzogne della morale comune; in campo letterario, con il rifiuto sia delle tendenze patriottiche, moraleggianti ed educative del primo Romanticismo, sia dei languori e dei sentimentalismi del secondo Romanticismo. Gli scapigliati avvertono la necessità di fissare lo sguardo sulla realtà concreta del mondo che li circonda, rifiutando ogni finzione ottimistica.

Con l’interesse per gli aspetti più dimessi della vita quotidiana, gli scapigliati anticipano, invece, le tendenze veriste. Dal punto di vista stilistico, inoltre, adottano una prosa sperimentale aperta alle espressioni dialettali e avviano una polemica contro Manzoni e Verga, esponenti della tradizione. Di qui l’insistenza con cui rappresentano situazioni strane, bizzarre, dense di inquietudine e di minaccia. Una critica sviluppata tramite opere narrative (più spesso racconti che romanzi), testi poetici impressionistici, con contenuti e immagini molto forti (scheletri, cadaveri, mummie). Si tratta di testi percorsi da una tensione ideale cui si contrappone la coscienza dell’impossibilità di una quiete spirituale e l’attrazione fatale per ciò che di meno etereo e sublime la vita e i corpi presentano.

Pittori, scultori, musicisti e scrittori della scapigliatura costituirono una piccola società non priva di contraddizioni e profonde diseguaglianze al suo interno, ma accomunata da alcuni tratti poi enfatizzati dai posteri. Fra questi, il motivo romantico dell’artista perseguitato e povero, destinato a morire giovane e non di rado suicida. Ispirati al modello francese “bohémiens”, insofferenti, sregolati, ribelli alle convenzioni sociali, assumendo posizioni anticonformiste, contro l’ipocrisia , il quietismo, il perbenismo e il falso pudore borghese, le loro vite furono sconvolte da inquietudini, nevrosi, eccessi provocatori e dissacratori.

Tale corrente si diffuse anche in campo artistico, all’interno del quale gli aderenti a tale movimento furono accomunati dal rifiuto del gusto dominante e della tradizione, dalla volontà di difendere l’autonomia dell’arte e di richiamarla a un più diretto contatto con la vita e, infine, dal desiderio di uscire dal provincialismo della cultura italiana per mettersi al passo con le ricerche europee.

Autori “scapigliati”

Iginio Ugo Tarchetti, nato a Monferrato, Alessandria nel1841, collaborò come giornalista a diverse testate, tra cui “Rivista minima”, “Il Giornale per tutti”, “La Settimana Illustrata”, e tentò anche di lanciare un suo “Piccolo giornale”. Le sue opere sono pervase da uno spiccato gusto per l’insolito, il fantastico e il macabro, che gli derivò da letture di autori stranieri quali Edgar Allan Poe. All’interno della sua produzione, vanno ricordati “Disietica”, raccolta di versi pubblicata postuma nel 1869, “Una nobile follia”, “Racconti fantastici” e soprattutto “Fosca”, storia dell’amore morboso di un giovane ufficiale per una donna caratterizzata da una singolare bruttezza e da una sottile, morbosa sensibilità. Tarchetti, corroso dal tifo, morì a Milano nel 1869.

Emilio Praga, nato a Gorla, Milano, nel 1839 da ricca famigli, fu contemporaneamente pittore e poeta. Dopo aver pubblicato nel 1862 la raccolta poetica “Tavolozza”, cominciò a darsi all’alcool e precipitò in una situazione di insostenibile disagio economico. Nonostante tutto, la sua poesia raggiunse notevoli risultati; meno riusciti i tentativi di adesione al satanismo con “Penombre” (1864). Interessante, per la sobrietà dei toni, il romanzo incompiuto “Memorie del presbiterio” (postumo, 1877). Consumato proprio dall’alcool e da altre dissipatezze, morì non ancora quarantenne a Milano nel 1875.

Arrigo Boito, nato a Padova nel 1842, sin da giovane fu impegnato nell’attività musicale e letteraria. Recatosi a Parigi nel 1842, incontrò Giuseppe Verdi, per il quale scrisse alcuni libretti (”Otello”, “Falstaff”). Tornato a Milano, entrò a far parte del gruppo degli scapigliati, di cui fu esponente di spicco. Le sue poesie sono raccolte nel “Libro dei versi” (1877), ma il testo poetico più sperimentale è “Re Orso” (1865). Quattro sono le novelle: “L’Alfier nero”, il suo capolavoro narrativo, (1867), “Iberia” (1867), “Il pugno chiuso” (1870), “Trapezio” (1873). Frutto di un lavoro di decine d’anni sono le opere “Mefistofele” (1868), di cui compose sia la musica sia il libretto grazie alla collaborazione di Giuseppe Verdi, e “Nerone”; quest’ultimo, incompiuto a causa della prematura morte dello scrittore avvenuta a Milano nel 1918.